Il discepolo fa dell’imaginazione una forza obiettiva, utilizzando il potere di spontaneità proprio alla sua forma immediata: potere normalmente soggettivo, in quanto muove non secondo il proprio principio interiore, bensì deviando da questo, secondo la richiesta dell’anima senziente, o della natura psicofisiologica.
L’imaginazione è una forza che tende alla propria realizzazione, secondo l’impulso che veramente la muove dall’intimo. Tale impulso può essere creativo, può essere distruttivo: ordinariamente è distruttivo, perché ascende dall’anima senziente, ossia dall’anima istintivamente opposta alla propria sorgente sovrasensibile. Non v’è immaginare che non sia germe di una realtà in via di realizzarsi: germe quasi sempre mosso da un impulso polarmente opposto alla natura del pensiero. L’immaginare ordinario è l’esprimersi di tale impulso come pensare immediato: il rappresentare. Questo rappresentare però può essere diretto dalla volontà e potenziato per contenuti non soggettivi. L’asceta apprenderà che non v’è creazione che non abbia come germe iniziale il potere immaginativo del pensiero, in quanto liberantesi dalla soggettività.
Per solito l’immaginare è dinamico, grazie all’elemento volitivo spontaneo, o istintivo, che gli è congeniale, in quanto legato alla natura psico-fisiologica, epperò soggettivo. Il discepolo, tendendo a liberare l’elemento volitivo dell’immaginare dalla natura, per fare di esso una forza obiettiva, incontra appunto questa difficoltà: il flusso dell’immaginare perde il potere di spontaneità, quando la sua forma viene determinata dalla coscienza: determinatamente voluto, esso smarrisce la forza che reca in sé naturalmente. L’arte dell’asceta consiste nel far rivivere con la volontà l’impulso immaginativo: nel ricongiungere il suo flusso con la forza originaria, facendo della spontaneità una corrente della volontà, quale effettivamente è all’origine.
La disciplina dell’imaginazione si coltiva col dedicare l’attenzione a determinate rappresentazioni, sino a che esse suscitino uno specifico sentimento. Il rappresentare è l’iniziale immaginare, normalmente usato dall’anima-senziente o dall’anima razionale affettiva: comunque, è l’iniziale moto del pensiero immaginativo. Sottilmente condizionato dal sentimento, deve con la disciplina rendersene libero, per dar luogo esso al sentimento, rispondente all’immaginare suscitato.


La facoltà immaginativa si educa: a) col lasciar operare su sé, sulla base di uno stato di immobilità contemplativa, le immagini della storia cosmica dell’uomo, descritta dalla Scienza dello Spirito; b) attraverso la contemplazione della natura minerale, o vegetale (V. PERCEPIRE PURO); c) costruendo un’immagine secondo un determinato contenuto spirituale e contemplandola: alimentando il suo movimento; d) con l’immaginare un colore, astraendo dal supporto sensibile mediante cui normalmente si manifesta, sì da contemplarne il contenuto non sensibile: si può un secondo tempo immaginare l’accostamento di due colori, per es. il rosso e l’azzurro, e percepirne il rapporto sottile, che deve sorgere vivente. È importante curare che ogni immagine abbia il suo compimento nell’anima, risonando con un determinato sentimento. Questo sentimento apre un varco allo Spirituale, che giunge sino al fisico.
La disciplina immaginativa comporta la più ampia facoltà di scelta e di uso indipendente delle immagini, vergendo al rigoroso controllo di una forza a cui tuttavia deve simultaneamente accordare il massimo della autonomia di manifestazione. È il caso di parlare di “arbitrio cosciente”: l’estrinsecazione della Dynamis immaginativa è in sostanza una mediazione offerta al fluire della vita interiore più alta alla cui impersonalità viene assicurato un varco adeguato dall’illimitata mobilità.
Con il fluire di tale forza, il discepolo fa suo un elemento interiore di vita, identico a quello della natura creatrice: dispone della prima forma di Magia interiore. Si può dire Magia dei nuovi tempi, perché fondata sulla logica interna dell’anima: germe di una redenzione cosciente dell’umano e di una reale evoluzione dei processi etico-sociali, in quanto rispondente nella coscienza al potere del concetto, cioè al principio della sintesi originaria del normale pensiero. È l’immaginare che l’asceta non aveva bisogno di liberare, non essendo legato al nervoso ma fluendogli gratuitamente dalla condizione psico-somatica medesima: la sua arte era donarglisi o sprofondare in esso o evadere mediante esso.
Al discepolo moderno si presenta un compito opposto: liberare l’imaginazione dalla condizione psico-somatica. Con ciò egli sperimenta in sé un processo cosmico. Si può dire che quanto umanamente e mondialmente esiste, è il condensamento sino alla mineralità, di possenti imaginazioni superumane, secondo archetipi cosmici. Tali imaginazioni, naturalmente, hanno dietro di sé poteri creativi ancora più profondi: d’Ispirazione e d’Intuizione di Entità cosmiche. Si comincia appena a comprendere una pianta, se si ravvisa in essa l’imaginazione di un pensiero superumano realizzata: l’uomo infatti può tradurre al massimo il proprio obiettivo potere d’immagine in una macchina, che è un oggetto senza vita, così come è senza vita il suo ordinario pensiero immaginativo, in quanto non sperimentato di là dalla cerebralità.
Così la malattia è un’imaginazione extra-cosciente incarnata. Essa ha alla base un’intensa imaginazione, correlata a una condizione corporea, mediante la quale lo Spirito tende a un determinato conseguimento. Tale imaginazione, posseduta, è il principio della guarigione. Lo sperimentatore capace di immaginare la propria guarigione realizzata già mette in moto la forza guaritrice: naturalmente la conoscenza di sé, epperò delle ragioni karmiche del suo male, deve guidarlo. Ove egli giunga a riconoscere le cause metafisiche del male, può operare su sé: si tratta però di un riconoscimento ben diverso da quello di un’analisi psichica. Anche sulla linea di una tale indagine, la tecnica consiste nel dare vita, per via di ripetizione e ritmo, a determinate immagini-chiave.
Lo sperimentatore che intenda dare autonomia alla imaginazione creatrice deve anzitutto conoscere l’arte della concentrazione e della meditazione. Egli svincola l’imaginazione dal corpo astrale, kama rupa, così da dirigerla con il massimo potere di controllo: tale controllo, però, come si è accennato, è quello che normalmente smorza il suo potere di spontaneità: ma appunto questa spontaneità lo sperimentatore tende ad assumere quale veicolo di revivificazione del corpo astrale: così che questo a sua volta esprima la superiore facoltà immaginativa.
Nell’immaginare voluto, opera qualcosa di intimo, più potente che l’immaginare stesso. Il libero immaginare viene attivato “mediante” volontà, piuttosto che da sforzo volitivo: questo ne paralizza la forza. Una immagine diventa dinamica, quando la si può contemplare disinteressatamente, come un quadro già fatto. Si deve volere con la massima forza ma con assenza assoluta di determinazione, con un “non volere” di tipo taoistico: che non significa, naturalmente, secondo disciplina taoista, bensì per virtù di moto incorporeo di pensiero, intenso come se fosse corporeo: ossia secondo la disciplina rosicruciana del pensiero.
L’imaginazione si esercita mediante la concentrazione e la meditazione. Se si osserva, la concentrazione è in sostanza un esercizio di imaginazione: parimenti la meditazione è un immaginare che congiunge secondo accordo originario il pensiero con le forze sottili del sentire e del volere.
L’asceta che possegga l’immaginare ha il principio della Magia Divina. Qualsiasi realizzazione di sé gli diviene possibile mediante il ritmico e ripetuto esercizio immaginativo. L’asceta che si senta carente di forze di devozione può immaginare la devozione, il suo potere, il suo contenuto, e la trasformazione della propria vita interiore grazie al sorgere di essa. La consacrazione di sé al Mondo Spirituale ha sempre inizio come intensa imaginazione. In effetto, non v’è realizzazione interiore, che non sia anzitutto opus immaginativo.
Per le decisive operazioni interiori, occorre che l’immaginare attinga alla sua origine cosmica: così soltanto esso diviene puro, si libera dei sottili impulsi egoici che necessariamente nasconde in sé. Ove questi non venissero eliminati, darebbero luogo a una demoniaca magia immaginativa.
L’asceta deve possedere il pensiero puro e aver familiare il sentiero della conoscenza, per non incorrere nei medianici sentieri dell’immaginare egoico.
In definitiva, ciascuno realizza ciò che immagina veramente: ciascuno trova fuori di sé ciò che immaginativamente alimenta all’interno di sé. L’uomo impuro non può non incontrare fuori di sé l’impurità. Il puro incontra sempre ciò che è puro.
Il pensiero che l’uomo pensa veramente non è quello razionale, bensì il pensiero che reca una carica di vita: l’immaginare. Normalmente però è l’immaginare dell’anima senziente o del corpo astrale, ossia dell’anima obbligata a risonare secondo la corporeità. Il pensiero razionale è sempre il codificatore di ciò che si pensa veramente secondo l’istintiva carica di vita. Per solito questa carica di vita viene dal sentire soggettivo, dalla psiche, dalla natura corporea. Il compito del discepolo è farla scaturire dalla sorgente stessa della vita. All’immaginare egli deve restituire l’obiettivo potere di vita.
Non è la situazione esteriore che suscita lo stato psichico, ma è lo stato psichico che si proietta in una situazione esteriore. L’imaginazione in tal senso è la forza creatrice. Può creare il male, l’errore, la preoccupazione, la brama, donando potenza a ciò che distrugge l’anima e il corpo. Il male fisico, come si accennava, è un’inconscia imaginazione realizzata. Ma, mentre l’immaginare distruttivo ha una forza immediata che viene dalla natura, ossia dall’ego uno con la natura, l’imaginazione creatrice, o elevatrice, o guaritrice, esige la determinazione cosciente del volere. Questa determinazione dapprima comporta lo sforzo, come svincolamento del rappresentare dal limite psicofisico: ma lo sforzo viene eliminato, man mano che dalla natura soggettiva si libera il puro immaginare, con il suo illimitato potere di spontaneità.
Si può dire che il Mondo Spirituale alimenta il vivente, mediante possenti imaginazioni. L’immaginare umano non è che la proiezione inferiore di tale immaginare. L’uomo moderno egoizza e soggettivizza l’imaginazione, può fantasticare, ma all’atto pratico crea soltanto macchine e persino sul piano estetico ormai non produce che un’arte cerebrale, priva di elemento vivente, ossia priva del reale immaginare.
Come si è accennato, gli esercizi della concentrazione e della meditazione operano alla liberazione dell’immaginare. Ove una simile liberazione sia conseguita, la responsabilità dello sperimentatore verso sé stesso e verso gli altri diviene seria, per il fatto che, come iniziale forza magica, l’imaginazione può distruggere, se usata erroneamente, o se sfugge al controllo dell’operatore, in quanto riafferrata dalla natura egoica. L’asceta può danneggiare gravemente sé stesso e gli altri, se in momenti di poca presenza a sé stesso smarrisce il controllo della forza immaginativa destata.
La ragione per cui il Mondo Spirituale non accorda determinati poteri al discepolo, è il pericolo dell’uso che egli possa farne, non avendo raggiunto una reale indipendenza dalla natura egoica. Quando il potere immaginativo sia desto, la vita del discepolo deve essere un continuo controllo della propria spontaneità, sin nei minimi dettagli, perché questo potere non divenga una forza avversa all’evoluzione umana.
Massimo Scaligero – Manuale pratico della Meditazione